Ricorso  della  provincia  autonoma  di  Trento,  in  persona  del
 presidente della giunta provinciale sig. Mario Malossini, autorizzato
 con delibera della giunta provinciale n. 14519 del 31  ottobre  1991,
 rappresentato e difeso dagli avvocati prof. Valerio Onida e Gualtiero
 Rueca,  ed  elettivamente  domiciliato  presso  quest'ultimo in Roma,
 largo della Gancia, n. 1, come da mandato speciale  a  rogito  notaio
 dott.   Pierluigi Mott di Trento in data 4 novembre 1991, n. 56879 di
 rep., contro il presidente del Consiglio dei ministri pro-tempore per
 la dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  degli  artt.  1
 secondo  e  terzo  comma, 5, 6, 7, 8, 10, 12, 17, 18, 19, 20, 21, 22,
 23, 24, 27, 29, 30, 31, 32, 33, 36, 39, primo comma, lettera a), 41 e
 43, primo comma, della legge 5 ottobre 1991, n. 317,  pubblicata  nel
 supplemento  ordinario  della Gazzetta Ufficiale n. 237 del 9 ottobre
 1991, e recante "Interventi per l'innovazione  e  lo  sviluppo  delle
 piccole imprese".
    La  legge n. 317/1991 disciplina un insieme complesso e articolato
 di interventi finanziari di agevolazione delle piccole imprese.
    Ai sensi dell'art. 1, secondo comma,  della  legge,  si  definisce
 "piccola  impresa  industriale"  quella  avente  non piu' di duecento
 dipendenti e venti miliardi di lire di capitale  investito;  "piccola
 impresa commerciale e piccola impresa di servizi, anche del terziario
 avanzato"  quella  avente non piu' di 75 dipendenti e 7,5 miliardi di
 lire di capitale investito.
    Gia'  tale  definizione,  operata  in  base   ai   soli   elementi
 dimensionali,    ricomprende    nell'area   dei   destinatari   delle
 agevolazioni disposte dalla legge stessa sia le imprese  industriali,
 sia  le  imprese  commerciali,  sia  quelle  di  servizi, operanti in
 qualsiasi  campo;  quindi  anche  le  imprese  operanti  in   settori
 rientranti  nell'ambito  della competenza primaria o secondaria della
 provincia autonoma, come il turismo,  i  trasporti  e  il  commercio;
 dall'altro  lato,  vi  ricomprende  anche  le imprese artigiane, che,
 secondo la definizione degli articoli 3 e  4  della  legge  quadro  8
 agosto  1983,  n.  443,  hanno dimensioni inferiori a quelle indicate
 come limite dal citato art. 1, secondo comma.
    Per  altro  verso l'art. 1, terzo comma, della legge, individuando
 in particolare l'area delle imprese destinatarie  delle  agevolazioni
 di  cui agli articoli 6, 7, 8 e 12 della legge stessa, vi include sia
 le "piccole imprese industriali o di servizi",  definite  le  ultime,
 questa  volta  piu'  restrittivamente,  come  "quelle che operano nei
 settori dei servizi tecnici di studio, progettazione e  coordinamento
 di infrastrutture e impianti, dei servizi di informatica, di raccolta
 ed  elaborazione  dati"; sia, espressamente, "le imprese artigiane di
 produzione di cui alla legge 8 agosto 1986, n. 443".
    E' dunque  pacifico  che  le  agevolazioni  previste  dalla  legge
 incidono sia in settori economici di competenza provinciale (turismo,
 trasporti,  commercio); sia nel settore dell'artigianato, a sua volta
 rientrante nella competenza  primaria  della  provincia;  sia  infine
 nell'ambito  dell'"incremento  della  produzione  industriale",  pure
 rientrante  nella  competenza  concorrente  provinciale,  e  al   cui
 riguardo  l'art.  15 dello statuto speciale prevede specifiche proce-
 dure per gli eventuali interventi finanziari dello Stato.
    I capi II e seguenti della  legge  disciplinano  diversi  tipi  di
 interventi agevolativi delle imprese.
    In  particolare,  il capo II prevede "interventi per la diffusione
 dell'innovazione", definiti in termini assai larghi dall'art.  5:  si
 tratta  di  interventi  agevolativi  per  le  imprese  che effettuano
 investimenti aventi per oggetto la realizzazione o l'acquisizione  di
 sistemi   gestiti   da   apparecchiature   elettroniche,  di  sistemi
 robottizzati, di unita' o sistemi per  l'elaborazione  dei  dati,  di
 apparecchiature  scientifiche,  di  sistemi  o macchinari finalizzati
 alla  riduzione  dell'inquinamento,  e  ancora  la  realizzazione   o
 l'acquisizione    di   programmi   per   l'utilizzazione   di   dette
 apparecchiature e  sistemi,  nonche'  l'acquisizione  di  brevetti  e
 licenze.
    E'  facile  osservare  che pressoche' tutti i tipi di investimenti
 diretti a modificare o  modernizzare  il  processo  produttivo  o  la
 gestione   dell'impresa   sono   suscettibili  di  dare  titolo  alle
 agevolazioni.
    Queste ultime sono disciplinate negli articoli 6 e 12. A sua volta
 l'art. 7 prevede agevolazioni "sul costo di acquisizione  di  servizi
 destinati  all'aumento  della  produttivita',  al trasferimento delle
 tecnologie, alla ricerca di nuovi mercati  per  il  collocamento  dei
 prodotti,  allo  sviluppo di sistemi di qualita'"; e l'art. 8 prevede
 agevolazioni commisurate alla quota degli utili reinvestiti in  spese
 di ricerca.
    In  pratica  ogni aspetto dell'attivita' delle imprese e' preso in
 considerazione in funzione delle possibili agevolazioni  finanziarie:
 e  cio',  si  badi, non per l'attuazione di programmi straordinari, o
 per localizzazioni limitate, ma in  generale  per  tutte  le  piccole
 imprese,  comprese  quelle artigiane, definite dal gia' visto art. 1,
 terzo comma.
    Il meccanismo agevolativo e' duplice. In primo  luogo  si  prevede
 che  i  soggetti  in  questione  siano ammessi a fruire, nel triennio
 1991-93, di un "credito di imposta" in misure variamente definite  in
 correlazione  con  i costi degli investimenti o dei servizi acquisiti
 dalle imprese. A  tale  fine,  ai  sensi  dell'art.  10,  le  imprese
 dichiarano al Ministero dell'Industria l'importo dei costi sostenuti;
 sulla  base  delle  dichiarazioni  pervenute  il  Ministero  forma un
 elenco, verifica le disponibilita'  finanziarie  entro  le  quali  e'
 ammissibile  la  fruizione  del  beneficio  e comunica all'impresa la
 concessione del beneficio stesso.
    La qualificazione del beneficio come "credito di imposta" non puo'
 trarre in inganno, ne' far pensare che si tratti  di  una  misura  di
 agevolazione  fiscale,  come  tale  attinente  al  regime  tributario
 anziche' a un regime di finanziamento pubblico delle imprese.
    Infatti il meccanismo del  credito  d'imposta  (se  non  e'  stato
 scelto  ad  arte  al  fine  di  mascherare il finanziamento disposto,
 facendolo passare per agevolazione  fiscale)  e'  comunque  solo  uno
 strumento   tecnico   per  assegnare  alle  imprese  beneficiarie  un
 contributo finanziario. E infatti  il  regime  e  la  disciplina  del
 "credito  d'imposta"  e'  tale da rendere palese che non si tratta di
 una disciplina a contenuto tributario.
    Un'agevolazione tributaria, invero, in quanto tale  non  puo'  che
 spettare  di  diritto,  contemporaneamente  e  per  ogni  periodo  di
 imposta, a tutti coloro che  si  trovano  nelle  condizioni  definite
 dalla  legge,  e  da'  luogo ad una diminuzione, in misura eguale per
 tutti coloro che si trovano nelle  medesime  condizioni,  del  debito
 d'imposta,  nonche'  ad una correlativa rinunzia da parte dello Stato
 alle entrate corrispondenti.
    Viceversa il  "credito  d'imposta"  in  questione  non  spetta  di
 diritto  a  tutti,  ma  viene  "concesso"  singulatim  dal  Ministero
 dell'industria, entro i limiti dell'apposito stanziamento  (art.  10,
 terzo  comma),  e  quindi non a tutti, ma ai soli beneficiari inclusi
 utilmente  nell'elenco,  fino  all'esaurimento  delle  disponibilita'
 finanziarie; ed eventualmente, nel caso di esaurimento dei fondi e di
 concorrenza  di  piu'  domande,  in  misura  ridotta, nonche' in anni
 diversi  (art.  10,  quinto  e  ottavo  comma).  I  fondi  stanziati,
 corrispondenti  alle  agevolazioni  concesse, vengono trasferiti allo
 stato  di  previsione  dell'entrata  a  compensazione   del   mancato
 pagamento  dei  tributi,  e  senza quindi che le entrate diminuiscano
 dell'importo  corrispondente  alle  agevolazioni  (art.  10,  settimo
 comma). Il credito puo' essere fatto valere indifferentemente ai fini
 del  pagamento  dell'I.R.P.E.F.,  dell'I.R.P.E.G.  o dell'I.LO.R., ed
 eventualmente dell'I.V.A.;  e  infine  e'  revocabile,  nel  caso  di
 insussistenza delle condizioni previste (art. 13, primo comma).
    Ma  la  riprova  definitiva della natura non tributaria, bensi' di
 agevolazione finanziaria, del beneficio, e' data dal  fatto  che  gli
 interessati  e' data la facolta' di chiedere, in luogo dei crediti di
 imposta, la concessione di contributi in  conto  capitale  in  misura
 equivalente  a  detti  crediti  (art.  12,  quarto comma), contributi
 concessi dal Ministero, con le  medesime  procedure  previste  per  i
 crediti  di  imposta  (art.  12,  quinto  comma);  la concessione dei
 contributi  comporta  l'esclusione  dalla  concessione  del   credito
 d'imposta, e viceversa (art. 10, sesto comma e art. 12, nono comma).
    Onde  e'  di  tutta  evidenza  che  si tratta sempre di contributi
 finanziari alle imprese, erogati con tecniche diverse.
    Una ulteriore tipologia di contributi  e'  prevista  dal  capo  IV
 della  legge  a  favore  dei consorzi e delle societa' consortili tra
 piccole imprese.
    Precisamente possono essere beneficiari  di  tali  contributi,  ai
 sensi  dell'art.  17, primo e secondo comma, i consorzi e le societa'
 consortili costituite fra piccole imprese  industriali,  o  fra  tali
 imprese  e  piccole imprese commerciali e di servizi "aventi lo scopo
 di  fornire  servizi  ..  diretti  a  promuovere  lo  sviluppo, anche
 tecnologico,  e  la   razionalizzazione   della   produzione,   della
 commercializzazione e della gestione delle imprese consorziate", e "i
 consorzi e le societa' consortili fra imprese artigiane di produzione
 di  beni  e  servizi"  costituiti ai sensi dell'art. 6 della legge n.
 443/1986, nonche' i consorzi  e  le  societa'  consortili  costituite
 dalle   predette   imprese   e  dalle  piccole  imprese  industriali,
 commerciali o di servizi. Si tratta dei medesimi consorzi e  societa'
 consortili  fra  imprese  artigiane,  anche  con la partecipazione di
 imprese industriali di minori dimensioni, a cui l'art. 6 della  legge
 n. 443/1985 prevede che le regioni possano concedere agevolazioni.
    L'art.  18  precisa che i consorzi e le societa' consortili devono
 essere  costituiti  da  almeno  cinque  imprese  e  avere  un   fondo
 consortile  o un capitale sociale non inferiore a 20 milioni di lire;
 l'art. 19  precisa  in  termini  ampiamente  estensivi  il  possibile
 oggetto  dell'attivita'  dei  consorzi  o  delle societa' consortili;
 l'art. 20 prevede  la  concessione  a  favore  di  tali  soggetti  di
 contributi in conto capitale.
    L'art  20,  secondo  comma,  e  l'art. 21 disciplinano la relativa
 procedura: i soggetti interessati debbono presentare alla  regione  e
 per  conoscenza  al  Ministero  un  programma  di  attivita' chedendo
 l'ammissione agli interventi: le regioni entro  sessanta  giorni  dal
 termine ultimo provvedono all'istruttoria delle domande e trasmettono
 al  Ministero  dell'industria  un  progetto-programma  di sviluppo di
 iniziative consortili nel territorio, nonche' le domande istruite con
 il proprio parere. Il Ministro approva le richieste di  finanziamento
 e  provvede  al  riparto tra le regioni delle somme disponibili (art.
 21, quarto comma),  dopo  di  che  la  regione  concede  ed  eroga  i
 contributi  (art. 20, secondo comma). Qualora la regione non provveda
 a tutti gli adempimenti entro sessanta  giorni  dal  termine  per  la
 presentazione  delle domande, l'istruttoria e' compiuta dal Ministero
 e i contributi sono concessi ed erogati dal Ministero medesimo  (art.
 21, quinto comma).
    L'art. 22 precisa la misura massima dei contributi, attribuisce al
 Ministero  dell'industria  il  compito  di  determinare  con  proprio
 decreto, di  concerto  con  il  Ministro  del  tesoro,  le  norme  di
 attuazione  relative  a  tali  contributi  (quinto  comma), e stanzia
 all'uopo appositi fondi (sesto comma).
    Ai  sensi  dell'art.  23  sono  ammessi  a  favore  dei   medesimi
 contributi  in capitale, nonche' dei finanziamenti agevolati previsti
 dall'art. 24, anche i consorzi e le societa' consortili fra piccole e
 medie imprese "operanti nei settori dell'industria, del  commercio  e
 dell'artigianato,   allo   scopo   di   promuovere  lo  sviluppo,  la
 razionalizzazione e la commercializzazione dei prodotti delle aziende
 associate" (art. 1, primo comma, legge n. 240/1981, cui rinvia l'art.
 13, primo e secondo comma),  non  aventi  i  requisiti  di  cui  agli
 articoli 17 e 18 della legge in esame.
    Il   finanziamento   agevolato   previsto   dall'art.  24  avviene
 praticando  un  tasso  pari  al  sessanta  per  cento  di  quello  di
 riferimento  vigente  per  il  settore  industriale  (art.  25, primo
 comma): a tal  fine  viene  disposto  il  conferimento  di  somme  al
 Mediocredito centrale (art. 23, quarto comma).
    A  sua  volta  l'art.  27 prevede la concessione dei contributi in
 capitale alle  "societa'  consortili  a  capitale  misto  pubblico  e
 privato  aventi  come  scopo statutario la prestazione di servizi per
 l'innovazione tecnologica, gestionale e  organizzativa  alle  piccole
 imprese industriali, commerciali, di servizi e alle imprese artigiane
 di  produzione  di beni e servizi" (primo comma), per una serie assai
 ampia di attivita' (settimo comma). Per l'istruttoria, la concessione
 e l'erogazione di contributi si applicano le medesime procedure  gia'
 viste, stabilite per la concessione dei contributi ai consorzi e alle
 societa' consortili (nono comma).
    Al Ministero dell'industria e' affidato il compito di determinare,
 di   concerto  con  i  Ministri  del  tesoro  e  per  gli  interventi
 straordinari nel Mezzogiorno,  le  norme  di  attuazione  (undicesimo
 comma).
    Il  capo  V e' dedicato ai consorzi di garanzia collettiva fidi, e
 cioe' ai  consorzi,  alle  societa'  consortili  e  alle  cooperative
 costituite   da   almeno   cinquanta   piccole  imprese  industriali,
 commerciali e di servizi e da imprese artigiane,  che  dispongano  di
 fondi  di  garanzia  monetari  di  importo  non inferiore a cinquanta
 milioni, e abbiano come scopi sociali l'attivita' di  prestazione  di
 garanzie  collettive  per  favorire  la concessione di finanziamenti,
 nonche' l'attivita' di informazione, di consulenza  e  di  assistenza
 alle  imprese  consorziate  per il reperimento e il migliore utilizzo
 delle  fonti  finanziarie,  e  le  prestazioni  di  servizi  per   il
 miglioramento  della gestione finanziaria delle stesse imprese, (art.
 29, primo comma, e art. 30).
    A favore di tali consorzi e' prevista la concessione, da parte del
 Ministro  del  tesoro,  di  contributi  al  fine  di  reintegrare   i
 rispettivi fondi di garanzia monetari (artt. 31 e 32).
    A  sua  volta  l'art. 33 disciplina la concessione di contributi a
 favore dei consorzi, delle societa' consortili e delle cooperative di
 garanzia collettiva fidi che concorrono alla  costituzione  di  fondi
 interconsortili di secondo grado a carattere nazionale (primo comma),
 nonche'  la  concessione  di contributi in capitale ai consorzi, alle
 societa' consortili e alle cooperative di  garanzia  collettiva  fidi
 per  la  realizzazione  di  programmi  di  sviluppo  organizzativo  e
 gestionale per la fornitura di servizi  di  natura  finanziaria  alle
 piccole imprese consorziate (secondo comma).
    Le  modalita'  per  la  concessione  e l'erogazione dei contributi
 verranno dettate con decreto del Ministro dell'industria di  concerto
 con  quello  del  tesoro  (quarto  comma).  Contributi  statali  sono
 altresi' concessi ai consorzi di garanzia collettivi fidi di  secondo
 grado  costituiti  da almeno cinque cooperative artigiane di garanzia
 collettiva fidi (sesto comma).
    Tutti i tipi di contributi contemplati dalle  disposizioni  citate
 configurano  interventi  finanziari  diretti  dello  Stato che, nella
 parte in cui contemplano come beneficiarie imprese artigiane, nonche'
 piccole imprese  operanti  nei  settori  di  competenza  provinciale,
 interferiscono   con  le  competenze  della  provincia  e  ne  ledono
 l'autonomia.
    Si  tratta  infatti   di   interventi   finanziari   capillarmente
 distribuiti,   concessi  in  via  ordinaria  e  senza  nemmeno  alcun
 riferimento  a  programmi  straordinari  o  a   specifiche   esigenze
 unitarie.
    Nemmeno  si  puo'  dire  che  si  tratti di interventi aggiuntivi,
 perche' al contrario  si  specifica  talvolta  espressamente  che  le
 agevolazioni  "non sono comulabili con altre agevolazioni previste ..
 da normative statali, regionali o delle province autonome di Trento e
 Bolzano" (art. 6, terzo comma).
    Agli organi centrali dello Stato sono assegnati per lo piu'  tutti
 i   compiti   di  gestione  degli  interventi.  Ma  anche  quando  si
 attribuisce alle regioni il compito  di  istruire  le  domande  e  di
 concedere  i  contributi  (art.  21,  a  proposito  dei contributi ai
 consorzi e alle  societa'  consortili,  e  art.  27,  nono  comma,  a
 proposito  dei  contributi  alle societa' consortili miste), il ruolo
 delle regioni e delle province  autonome  e'  meramente  istruttorio,
 mentre  al  Ministro  e'  riservata l'approvazione delle richieste di
 finanziamento, e addirittura  il  potere  di  sostituire  le  regioni
 nell'istruttoria  e nella concessione ed erogazione del contributo in
 caso di ritardo (art. 21,  quarto  e  quinto  comma)  (prevedendo  un
 potere sostitutivo comunque non conforme ai criteri sanciti da questa
 Corte).
    Per  la parte, poi, in cui le disposizioni in questione riguardano
 le piccole imprese industriali,  il  meccanismo  di  concessione  dei
 benefici contrasta con l'art. 15 dello statuto speciale del Trentino-
 Alto  Adige, e con l'art. 5 delle relative norme di attuazione recate
 dal decreto del Presidente della Repubblica 31 luglio 1978, n.  1017,
 ai cui sensi sono assegnate alle province, sentite le province stesse
 quanto  al  loro ammontare, quote degli stanziamenti annuali iscritti
 nel bilancio dello  Stato  per  l'attuazione  di  leggi  statali  che
 prevedono  interventi  finanziari  per  l'incremento della produzione
 industriale, e le somme assegnate sono  utilizzate  d'intesa  tra  lo
 Stato e le province.
    Nella  specie,  viceversa,  lo  Stato  eroga direttamente i fondi,
 ovvero li assegna controllandone strettamente l'erogazione; e non  vi
 e' traccia di intese tra Stato e provincia.
    Ora,  e'  vero  che  l'art.  15  dello  statuto  stabilisce che la
 predetta disciplina si applichi "salvo che le  norme  generali  sulla
 programmazione   economica   dispongano   un   diverso   sistema   di
 finanziamento". Ma e'  altrettanto  vero  che  nella  specie  non  si
 rinviene  alcuno  degli  elementi  che  possano  indurre  a  ritenere
 legittimamente disposto un diverso sistema di finanziamento da "norme
 generali sulla programmazione".
    A differenza delle fattispecie esaminate da questa  Corte  con  le
 sentenze  n.  734  e  796  del  1988,  qui non si tratta di programmi
 statali di interventi riconducibili a norme sulla programmazione,  ma
 di  un  sistema  esclusivo  ed  esaustivo  di  interventi  finanziari
 agevolativi, operante annualmente e in via ordinaria,  con  procedure
 che  non coinvolgono direttamente gli organi della programmazione (il
 CIPI,  ai  sensi  dell'art.  38,  e'   solo   chiamato,   del   tutto
 marginalmente,   a  formulare  direttive  volte  a  "coordinare"  gli
 interventi previsti dalla legge con  il  complesso  degli  interventi
 anche  comunitari  in  favore  del sistema industriale nazionale), ma
 restano  nell'esclusivo  dominio  del  Ministero  dell'industria   e,
 talvolta, del Ministero del tesoro.
    In sostanza, se tale legge rimanesse in vigore e si applicasse, la
 provincia  sarebbe  del tutto espropriata della propria competenza in
 tema di incremento  della  produzione  industriale,  in  ordine  alle
 piccole  imprese,  e  sarebbe  tagliata  fuori  dalla  gestione degli
 ordinari interventi agevolativi in questo campo.
    Anche  per  questa  parte  e  sotto  questo  profilo,  dunque,  le
 disposizioni impugnate sono lesive dell'autonomia della Provincia.
    L'art. 41 della legge, "al fine  di  favorire  l'incremento  degli
 investimenti  produttivi  nei  settori dell'artigianato" autorizza la
 Cassa per il credito alle imprese artigiane a effettuare una serie di
 interventi e di attivita', ulteriori rispetto agli attuali suoi scopi
 statutari,  e  aventi  ad  oggetto   l'agevolazione   delle   imprese
 artigiane.  La  Cassa  e'  in  particolare  autorizzata a "promuovere
 iniziative  finanziarie  finalizzate  allo  sviluppo  delle   imprese
 artigiane" (lett. a)); a "effettuare interventi finanziari sotto ogni
 forma,  compresi quelli relativi ai servizi finanziari" (lett. b)); a
 "gestire fondi di agevolazione" (lett. c)); a "estendere  l'attivita'
 del  fondo centrale di garanzia di cui alla legge 14 ottobre 1964, n.
 1068, e successive modificazioni, alle operazioni di  riassicurazione
 dei  crediti  garantiti dai consorzi e dalle cooperative artigiane di
 garanzia" (lett. d)).
    In tal modo un soggetto pubblico  pur  sempre  facente  capo  allo
 Stato  viene  abilitato  a  svolgere  attivita' - come tipicamente la
 gestione di "fondi di  agevolazione"  -  che  spettano  all'esclusiva
 competenza della provincia autonoma; trasformandone la stessa natura,
 da  quella  di  organismo  incaricato  di provvedere al finanziamento
 degli istituti e delle aziende di credito "al fine  di  integrare  le
 disponibilita'  finanziarie destinate alle operazioni di credito alle
 imprese  artigiane"  (cfr.  l'art.  2  dello  statuto  della   cassa,
 approvato  con  d.m.  31  agosto 1966, e successive modificazioni), a
 quella  di  organismo  che   gestisce   direttamente   attivita'   di
 agevolazione finanziaria a favore delle imprese.
    Che  si  innovi sulle finalita' statutarie dell'ente e' confermato
 dal resto del secondo comma dell'art. 41, secondo cui "le forme e  le
 condizioni  degli  interventi previsti nel primo comma sono stabilite
 con decreto del Ministro del tesoro,  di  concerto  con  il  Ministro
 dell'industria, del commercio e dell'artigianato, sentito i C.I.C.R.,
 entro  novanta  giorni"  dalla data di entrata in vigore della stessa
 legge.
    Anche  tali  disposizioni  sono   dunque   lesive   dell'autonomia
 provinciale.
    L'art.  36  della  legge  prevede la individuazione dei "distretti
 industriali",   definiti   come   "le   aree   territoriali    locali
 caratterizzate  da  elevata  concentrazione  di  piccole imprese, con
 particolare riferimento al rapporto tra la presenza delle  imprese  e
 la  popolazione  residente  nonche'  alla specializzazione produttiva
 dell'insieme delle imprese".
    Alla individuazione dei distretti provvedono bensi' le regioni, ma
 "sulla base di un decreto del Ministro dell'industria, del  commercio
 e  dell'artigianato"  che  "fissa  gli  indirizzi  e  i  parametri di
 riferimento" secondo comma.
    Per tali aree - e quindi, sembra solo per queste - "e'  consentito
 il  finanziamento,  da  parte  delle  regioni, di progetti innovativi
 concernenti piu' imprese,  in  base  ad  un  contratto  di  programma
 stipulato fra i consorzi e le regioni medesime" (terzo comma).
    Una  competenza  schiettamente  provinciale,  attinente da un lato
 alla  programmazione  territoriale,  dall'altro  allo  sviluppo   del
 settore  delle  piccole  imprese  e  dell'artigianato,  viene  dunque
 condizionata   a   discrezionali   determinazioni    del    Ministro:
 illegittimamente restringendo, dunque, l'autonomia provinciale.
    L'art.  39  della  legge,  nel  disciplinare  l'ordinamento  della
 Direzione  generale  della  produzione  industriale   del   Ministero
 dell'industria,  prevede  la "istituzione di un servizio centrale per
 la piccola industria e l'artigianato" (primo comma, lett. a)).
    Questa disposizione, che pur  riguarda  la  organizzazione  di  un
 apparato centrale dello Stato, da un lato e' rivelatrice dell'intento
 e del contenuto sostanziale dell'intera legge, tendente a riassorbire
 nell'ambito delle competenze centrali il settore dell'artigianato, di
 competenze  della  provincia  autonoma  come delle regioni ordinarie;
 dall'altro lato e' lesiva  essa  stessa  dell'autonomia  regionale  e
 provinciale,  dal  momento che la creazione di una apposita struttura
 operativa - non di programmazione ma di gestione  -  che  estende  la
 propria   competenza   al  settore  dell'artigianato  viene  a  porsi
 direttamente come illegittimo ostacolo e limite al  pieno  esplicarsi
 delle attribuzioni regionali e provinciali in materia.
    E'  evidente  che  se  lo  Stato  centrale, non tanto conserva, ma
 addirittura crea nuove strutture operanti nei settori  di  pertinenza
 regionale  e  provinciale  (in  piena  contraddizione  con  la  tanto
 proclamata  necessita'  di   riformare   l'amministrazione   centrale
 sopprimendone  i  comparti  resi  superflui  dal  trasferimento delle
 funzioni alle  regioni),  in  realta'  esso  viene  a  contestare  la
 competenza  regionale  e  provinciale,  e  si pongono le premesse per
 illegittimi interventi diretti statali di gestione nei settori in cui
 si esplica tale competenza.
    L'art. 43, primo comma, della legge, nello stabilire che gli oneri
 derivanti dall'applicazione degli articoli 6, 7, 8, 9,  12,  22,  23,
 primo  comma,  27  e 33 (tutte norme qui impugnate, salvo l'art. 9, e
 relative alla  concessione  delle  agevolazioni)  gravano  sul  fondo
 speciale  rotativo  per  l'innovazione tecnologica di cui all'art. 14
 della legge 17 febbraio 1982, n. 46 - fondo amministrato con gestione
 fuori bilancio - stabilisce che detto  fondo  e'  integrato  di  1514
 miliardi  nel triennio, "nei limiti di cui ai predetti articoli e per
 le finalita' ivi previste".
    Ora - a parte il dubbio ricorso a una gestione fuori bilancio  per
 spese che non hanno alcun carattere speciale, e che sono effettuate a
 fondo  perduto  e senza previsione di rientri, onde non si giustifica
 nemmeno l'utilizzo di un  fondo  di  rotazione  (ricorso  che  sembra
 piuttosto  il  frutto  di  un escamotage tendente a "nascondere" tali
 spese  nell'ambito  di  un  meccanismo   finanziario   statale   gia'
 esistente)  -  tale  meccanismo  finanziario e' lesivo dell'autonomia
 finanziaria della provincia.
    Esso infatti viola, per un verso, l'art. 15 dello statuto e l'art.
 5 delle norme di attuazione di cui al decreto  del  Presidente  della
 Repubblica  31 luglio 1978, n. 1017, per le ragioni gia' viste sopra,
 in quanto non prevede per lo piu' l'assegnazione  delle  quote  degli
 stanziamenti alle province e il loro utilizzo d'intesa fra lo Stato e
 la  provincia.  Da notare che detto art. 3 del decreto del Presidente
 della Repubblica n. 1017/1978 prevede che le quote  di  finanziamento
 spettanti   alla   provincia   siano  indicate  "nel  contesto  della
 determinazione della  quota  variabile"  di  cui  all'art.  78  dello
 statuto,  art.  78  che,  nella  sua  nuova formulazione, a sua volta
 mantiene fermo  il  disposto  dell'art.  15  dello  statuto  e  della
 relativa norma di attuazione.
    Per  altro  verso  tale meccanismo finanziario appare in contrasto
 con l'art. 5, secondo comma, della legge n. 386/1989, secondo  cui  i
 finanziamenti  recati da qualunque disposizione di legge statale (di-
 verse da quelle che disciplinano fondi speciali per garantire livelli
 minimi uniformi di prestazioni), in cui sia  previsto  il  riparto  o
 l'utilizzo  a  favore  delle  regioni  (e' il caso della modalita' di
 spesa prevista dall'art. 21, quarto comma,  e  dall'art.    27,  nono
 comma,  della  legge  in esame) sono assegnati alle province autonome
 per essere utilizzati, secondo normative provinciali, nell'ambito del
 corrispondente   settore,   quindi   senza   specifici   vincoli   di
 destinazione:  mentre  la legge in questione prevede un meccanismo di
 utilizzo delle somme strettamente controllato dagli organi centrali.